La storia degli spaghetti ai ricci di mare, un piatto diventato oggi di moda

Nel mio precedente articolo accennavo di voler scrivere sugli spaghetti ai ricci, piatto diffuso non solo nella nostra Puglia, anche se in alcuni casi viene preparato con la sola polpa di riccio. È chiaro che il prodotto Puglia ormai fa moda e vedere combinati insieme polpa di ricci, burrata di Andria e cime di rape non scandalizza più nessuno.

Torniamo a monte; intanto va precisato che in Puglia i veri consumatori del crudo di mare si ritrovano in un pezzo di costa che da Barletta arriva verso sud a Mola di Bari e Monopoli, in pratica, nella provincia di Bari. Un’altra zona dove questo consumo è storicamente rilevabile è Taranto e la sua provincia, soprattutto per le sue famosissime cozze nere.

I ricci di mare si sono sempre identificati con il popolo barese, noto invasore e assalitore di tutte le scogliere per non definirlo pulitore di questa infida e fastidiosa conchiglia; ovunque passava un amatore da queste zone si armava di maschera e pinne e pensava bene a ripulire il fondo, lasciando bambini e mogli sulle acque basse.

Probabilmente chi aveva girato tra la Sicilia e la di Sardegna aveva visto preparare la pasta con i ricci di mare e tornato a casa ci aveva provato a replicarla.

Io provengo da una famiglia marittima e sin da bambino sono stato educato alle delizie del riccio crudo armato di pane morbido per poterne “scarpettare” l’interno. La polpa gialla o rossastra ha fatto godere me e i miei coetani, facendo riaffiorare alla mente i ricordi dei nostri “filoni” a scuola, e delle mattinate spese a mangiare i ricci accompagnati con una birra Peroni ghiacciata. Questo ricordo me lo sono portato per tutta la vita, sapendo che il riccio crudo con il pane era il mio frutto preferito.

Nel 1980 ho aperto il ristorante Bacco e nell’82 ho fatto la mia prima vacanza da imprenditore a Dubrovnik. Lì c’era ancora la dittatura della Jugoslavia e tra tanti tedeschi c’eravamo anche noi italiani, anche se in minor presenza. Alloggiavo in una casetta bifamiliare sul mare, io e mia moglie, già cuoca provetta, avevamo trascorso le ferie precedenti in Liguria, dove avevamo fatto già ampie scorpacciate di ricci e figuriamoci se non replicavamo anche a Dubrovnik. La stranezza per noi è nata quando la coppia di sposini, che occupava l’appartamento sottostante al nostro, a mezza mattinata, con amore e passione apriva questi ricci per riporre la polpa all’interno di una scodella. All’inizio pensammo male di loro, visto che i nostri ricci li avevamo già consumati con la mollica del pane.

Dopo  qualche giorni siamo diventati amici e in confidenza gli abbiamo chiesto cosa facessero con quella polpa e con estrema naturalezza ci risposero così: “La pasta con i ricci”. Erano di Catania e dalle loro parti quel piatto era una cosa normalissima, condividemmo quest’esperienza e devo dire che ci piacque moltissimo.

Rientrati in Italia pensammo subito di inserire gli spaghetti ai ricci nel  nostro menu, in quella fase storica, la nostra clientela era prevalentemente straniera e del Nord Italia. Lo proponemmo proprio come ce lo preparò la coppia siciliana: olio, aglio e prezzemolo rigorosamente tutto crudo e poi con lo spaghettino al dente condito insieme. Devo dire che nonostante a noi piacesse molto, la clientela lo riteneva troppo forte come sapore. L’anno dopo abbiamo passato le ferie in Sicilia e ci siamo fermati sia ad Acitrezza, nel catanese, che a Palermo a Mondello; quella ricetta era proprio così, forse nel catanese un po’ più leggera, con meno aglio, ma forte e intensa, solo per pochi e veri amatori.

Dopo le ferie siciliane, ci siamo imposti di modificare la ricetta, creando una base in padella con metà della polpa lasciata a cuocere con poco olio all’aglio e qualche cucchiaio di fumetto, realizzato con le code dei gamberi. Lì abbiamo capito che cuocere la polpa dei ricci è una delle cose più difficili del mondo perché quel profumo se aggredito può trasformarsi in cattivo odore. Quindi calcolati i tempi e calati gli spaghetti, abbiamo osato con una lieve spolverata di un pecorino quasi dolce e alla fine saltato il tutto. Distribuito il tutto nei piatti veniva ultimato con l’altra metà della polpa dei ricci a crudo e poco prezzemolo tritato.  Fu un successo.

La regola di questo piatto è simile a quella proposta per la colatura di alici: l’eccesso o il difetto ne determinano il fallimento. Non esiste una ricetta dettata, ma una quotidianità esecutiva di una mano parsimoniosa. Inutile dire che è stato il piatto che ha legato un po’ la storia del nostro ristorante e che orgogliosamente abbiamo visto anno dopo anno crescere negli altri menu fino a diventare un piatto preparato in casa. Non c’era né Internet e né i cellulari e la diffusione mediatica era veramente quella del passaparola, la stessa che ci ha sempre  agevolato nel perseguire i nostri traguardi accompagnati però sempre da una grande passione. Ora si vendono barattolini di polpa di ricci e ricci provenienti da qualsiasi parte del mondo, ma credetemi non è la stessa cosa.

Suggerisco in abbinamento un calice di  “POGGIO AL BOSCO” Gravina Bianco Dop 2018 dell’azienda Botromagno e se volete invece osare fatelo con un calice di Nero di Troia, servito a temperatura leggermente più bassa del normale servizio,  “F.D” Murgia Rosso Igp  biologico 2018 sempre della stessa cantina.

Un saluto ai nostri cari lettori.

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